Scampati di casa – il gregario silenzioso

UIC

Partiamo dall’eccezione che conferma la regola.
Qualche anno fa sono al briefing di Oceanside. Di fianco a me e al mio team c’è una ragazza minuta, capelli corti, occhi grandi, braccia lunghe e ossute, gambe magre. Tutta tanto magra. Il suo team a fianco.
La guardo e penso: dove va questa? Non passa il primo giorno.
Vincerà la Raam dieci giorni dopo la mia brillante previsione e da anni è una delle più forti al mondo, ma io ero ancora nuovo nel mondo e non leggendo i siti o i giornali “specializzati” all’epoca non la conoscevo.
Lo dico con una punta di vergogna: è l’unica cantonata che ho preso. Forse quel giorno ero un po’ raffreddato, non ricordo, comunque l’eccezione che conferma la regola.
Scusa ragazza magra coi capelli corti.

Per tutti gli altri ho sempre avuto un fiuto eccezionale.
Ad una gara in Italia aiuto al check-in degli atleti, mi passano tutti davanti.
Non sono in gara quindi uso questa esperienza come studio sociale.
Arriva un francese, in treno da Parigi, capelli spettinati, bici e borse cariche,
sorrisone.
Lo guardo e penso: ciccio guarda che non siamo in gita.
Lo ritrovo la notte successiva nel furgone dei ritirati. Ho male ai piedi, mi dice sempre col sorrisone.
Cucciolo…
Un altro lo vado a recuperare qualche giorno dopo in macchina, è un ceco che mi dice: non pensavo ci fosse tutta questa salita, meglio se mi ritiro.
Sì cucciolo… sei anni luce dal penultimo, che è pure tuo compare (e che salterà a breve pure lui), la prossima volta controlla meglio l’altimetria.

In realtà ammiro gli scampati di casa, che non sono altro che degli sprovveduti, quelli che pensano: ma sì se vado piano e mi fermo ogni tanto ce la faccio.
No cocco, non hai capito: l’ultracycling è una guerra, ti conviene armarti bene.
Li ammiro perché invidio un po’ la loro beata ignoranza, il loro pensare ma sì, cosa vuoi che sia, mi diverto e ci provo.

Per me, che ho prima sputato sangue nel world tour, e che poi ho messo la stessa dedizione nell’ultracycling, suona un po’ male. Stridente direi.
Ma forse semplicemente ognuno ha il suo approccio, il suo modo di affrontare le cose.
Anch’io mi butto, ma con il massimo rispetto possibile verso la gara che andrò a fare. E rispetto verso la bicicletta, la strada, la mia squadra, i miei avversari.
Un mio ex-collega qualche mese prima della mia prima gara mi disse: ma sei
sicuro? Tutti quei chilometri… non so mica se ce la fai…
A me una cosa del genere è meglio non dirla mai.

Il ritiro non è contemplato, per principio.
Come disse il saggio: meglio primo, ma piuttosto ultimo.


Finché i pedali e i coglioni girano, io vado avanti.

Il Gregario Silenzioso

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